L’usura sopravvenuta alla luce della recente pronuncia Cass. Civ. SSUU n. 24675/2017.

La legge del 1996, tuttavia, non chiarisce l’estensibilità della stessa anche ai mutui sorti in epoca antecedente la sua entrata in vigore e ancora in pendenza di esecuzione. La questione, come accennato, è di particolare rilievo proprio nel contratto di credito in generale. Può accadere, infatti, che, durante l’esecuzione del contratto, la clausola che in origine prevedeva un interesse conforme al tasso legale, diventi usuraria a causa di circostanze esterne al contratto ed indipendenti dalla volontà delle parti, dando luogo ad uno squilibrio sopravvenuto dello scambio. Nelle more dell’esecuzione può originarsi, quindi, il fenomeno della cd. usura sopravvenuta qualora intervenga una nuova formulazione della soglia legale dell’interesse che rende il precedente accordo oggetto delle conseguenze sanzionatorie previste per gli interessi usurari. 

Prima di esaminare gli approdi giurisprudenziali in punto di usura sopravvenuta, tuttavia, appare opportuno partire da una doverosa premessa sul concetto stesso di interessi usurari, al fine di meglio inquadrare la fattispecie in esame.

Infatti, analizzata la definizione codicistica e chiarito cosa debba intendersi per interessi usurari, è immediato chiedersi quali siano – in concreto – i criteri di calcolo dei medesimi.

Ebbene, il Ministero del Tesoro rileva ogni trimestre il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) degli interessi praticati dall’intero sistema bancario e finanziario italiano[1].

L’ Art. 8, comma d, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, ha modificato radicalmente il metodo di calcolo del tasso si usura stabilendo che, il limite oltre il quale gli interessi sono ritenuti usurari è calcolato aumentando il tasso effettivo globale medio (TEGM) del 25%, ad aggiungendo al valore ottenuto un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il tasso di usura e il tasso medio non può essere comunque superiore a otto punti percentuali.

Pertanto, se il tasso medio dei mutui in un determinato trimestre (TEGM) è fissato nella misura del 5%, il tasso di usura sarà uguale a: 5 + 1,25 + 4 = 10,25 (il valore 1,25 è il 25% di 5).

Inizialmente come riferimento per il raffronto con il tasso di usura, si considerava il cosiddetto TAN (Tasso Annuale Nominale), che è un tasso stabilito contrattualmente quando si richiede qualsiasi altra forma di finanziamento.

In altre parole, il TAN è lo specifico tasso di interesse richiesto dall’istituto di credito per la concessione del singolo finanziamento, calcolato in percentuale sul capitale finanziato.

Successivamente si è sentita le necessità di adeguare la normativa in modo da contemplare le molteplici realtà presenti nel mondo creditizio e nel contempo tutelare maggiormente i consumatori, arrivando a formulare una definizione più completa di “tasso di interesse”, che tenesse conto anche di tutti gli oneri supplementari gravanti sul beneficiario del finanziamento.

Si arriva così a definire il cosiddetto TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) che, oltre al TAN, incorpora anche tutte le spese e gli oneri (fissi e variabili) per l’erogazione del finanziamento.

Da questa premessa, sorge inevitabilmente una questione che necessita una doverosa risposta: infatti, ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle ulteriori spese (escluse quelle per imposte e tasse) collegate alla erogazione del credito. Gli interessi moratori possono dirsi appartenenti alla figura dell’usura e alla relativa disciplina?

Al pari delle tante altre voci economiche inerenti al contratto di credito, infatti, gli interessi moratori, sono oneri eventuali. Non appartengono alla fisiologia del rapporto, ma alla sua patologia, postulando un inadempimento. Come tutti gli altri oneri eventuali, i moratori fanno parte del carico complessivo dell’operazione economica per il debitore se e quando l’evento inadempimento si verifica.

Pertanto, la questione che si pone è se gli interessi moratori soggiacciano anch’essi alla disciplina antiusura.

Il corretto inquadramento dell’usura sopravvenuta invero, non può prescindere dall’analisi di questa questione, sulla quale si è altresì espressa ampia Giurisprudenza negli ultimi anni.. In altre parole, dobbiamo chiederci se, ai fini della verifica del superamento del c.d. “tasso soglia”, la disciplina prevista dall’ordinamento con riguardo agli interessi usurarti (art. 1815 c.c; art. 644 c.p; art. 2 L. 108/1996; L. 24/2001) sia estensibile anche agli interessi moratori.

Ebbene, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione non ha mai dubitato dell’applicabilità del “tasso soglia” anche alla pattuizione degli interessi moratori (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977; Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455; Sez. 3, sentenza n. 5324 del 04/04/2003, Rv. 561894; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/20000, Rv. 535967).

In senso analogo (peraltro) si è pronunciata anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 29 del 2002 “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi a “qualunque titolo convenuti” rende plausibile l’assunto secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”).

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