Non finisce qua, perché preso atto della circostanza che molti giudici di merito continuassero ad opinare diversamente, è nuovamente intervenuta la Cassazione nel 2018 con un’ampia e approfondita verifica delle ragioni dell’applicabilità degli interessi moratori all’interno del tasso soglia.
Con sentenza n. 27442/2018 gli Ermellini statuiscono che gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dall’art. 2 comma 4, L. n. 108/1996 vanno qualificati ipso iure come usurari.
L’art. 2 L. 108/1996, vieta infatti di pattuire interessi eccedenti la misura massima ivi prevista.
Questa norma si applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d’un capitale o della dilazione d’un pagamento (interessi corrispettivi, art. 1282 c.c.), sia gli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.)
La Cassazione giunge a questa conclusione sulla base di tutti e 4 i tradizionali criteri di ermeneutica legale: interpretazione letterale, interpretazione sistematica, interpretazione finalistica e interpretazione storica.
i) quanto all’interpretazione letterale:
nessuna delle norme che vietano la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi moratori (art. 644 c.p; art. 4 L. 108/1996; art. 1 d.l. n. 394/2000 convertito in L. n. 24/2001).
Nessuna delle norme sopra indicate distingue tra i vari tipi di interessi.
Il fatto che il giudizio di usurarietà possa riguardare gli interessi pattuiti a qualunque titolo è altresì confermato dai lavori preparatori della L. 24/2001. Nella relazione che accompagnò il d.d-l n. S-4941 si leggeva che il decreto aveva lo scopo di chiarire come si dovesse valutare l’usurarietà di qualunque tipo di tasso di interesse, “sia esso corrispettivo o moratorio”.
ii) quanto all’interpretazione sistematica:
interessi corrispettivi ed interessi convenzionali moratori sono ambedue soggetti al divieto di interessi usurari poiché ambedue costituiscono la remunerazione d’un capitale di cui il creditore non ha goduto: nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente.
Gli interessi moratori previsti dall’art. 1224 c.c hanno la funzione di risarcire il creditore del danno patito in conseguenza del ritardo nel pagamento d’un debito pecuniario.
Ma il danno che il creditore d’una somma di denaro può patire non può che consistere o nella necessità di ricorrere al credito, remunerando con l’interesse chi glielo conceda o di rinunciare ad impiegare la somma dovutagli in investimenti proficui.
Tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, il danno patito dal creditore d’una obbligazione pecuniaria altro non è che la conseguenza del principio economico della naturale fecondità del danaro.
Questo principio è alla base del patto di interessi accessorio ad un contratto di mutuo.
Così come chi da a mutuo una somma di denaro legittimamente esige un interesse, perché deve essere compensato della privazione di un bene fruttifero (il capitale), allo stesso modo chi non riceve tempestivamente la somma dovutagli deve essere compensato dei frutti che quel capitale gli avrebbe garantito, se ne fosse rientrato tempestivamente in possesso.
Tanto gli interessi compensativi, quanto quelli convenzionali moratori ristorano dunque il differimento nel tempo del godimento d’un capitale: essi differiscono dunque nella fonte e nella decorrenza (immediata per i primi, differita ed eventuale per i secondi), ma non nella funzione.
Gli interessi moratori, convenzionali o legali che siano, remunerano un capitale (o meglio il mancato godimento d’un capitale), né più né meno che gli interessi corrispettivi.
iii) quanto all’interpretazione finalistica:
che gli interessi convenzionali moratori non sfuggano alle previsioni della l. 108/1996 è confermato dalla ratio di tale legge.
La L. 108/1996 venne dettata al fine di troncare le infinite questioni che in precedenza si ponevano in giudizio allorché si trattava di accertare l’usurarietà di un patto di interesse. Escludere dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori da un lato sarebbe incoerente la finalità da essa perseguita, dall’altro condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento; per altro verso ancora potrebbe consentire pratiche fraudolente, come quella di fissare termini di adempimento brevissimi per far scattare la mora e lucrare interessi non soggetti ad alcun limite.
Infine, concludono gli Ermellini, che gli interessi convenzionali di mora soggiaciano alle previsioni dettate dalla legge antiusura è conclusione imposta da una millenaria evoluzione storica, per la cui analisi (approfondita) si rimanda alla lettura della sentenza richiamata.
La conclusione alla quale qui perviene la Cassazione, è altresì confermata dalla ancor più recente sentenza n. 26286/2019, la quale afferma il seguente principio di diritto: “anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 L. 108/1996, si configura la cosiddetta usura oggettiva”.
Per ultimo, la Cassazione, a Sezioni Unite, è intervenuta sul punto anche con sentenza n 19597/2020, ribadendo che il “concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possono dirsi estranei all’interesse moratorio”.
Ciò soddisfa, l’esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercé del soggetto finanziatore e persegue, nel contempo, una finalità di interesse pubblicistico, al fine di garantire un ordinato funzionamento del mercato finanziario e alla protezione della controparte dell’impresa finanziaria.