QUESTIONE – Esaurita questa (doverosa) analisi preliminare, addentriamoci all’interno dell’odierno campo di indagine.
L’usura sopravvenuta può esser individuata in maniera piuttosto semplicistica.
Si realizza allorquando gli interessi originariamente pattuiti, alla stipulazione del contratto non erano usurari. Questi lo diventano in un secondo momento, per effetto della riduzione del tasso soglia. La questione che investe l’usura sopravvenuta è, in sostanza, di diritto intertemporale, cioè ci si chiede se è applicabile o meno la Legge n. 108 del 1996, che ha introdotto il tasso soglia, ai contratti di credito stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della suddetta legge.
Ciò detto, ci si è interrogati sulla possibile applicabilità dell’art. 1815, comma 2, c.c. e della relativa disciplina sanzionatoria che comporta la c.d. “gratuità del contratto” per quei contratti di credito stipulati prima della Legge n. 108/1996 e successivamente divenuti illegittimi in quanto contenenti una clausola avete ad oggetto interessi usurari.
I dubbi derivano dalla considerazione per cui, non configurandosi (necessariamente), in tali ipotesi, un comportamento abusivo da parte del creditore, è parso eccessivo attribuire allo stesso l’intero rischio delle sopravvenienze contrattuali. Parimenti, tuttavia, anche il debitore subisce, inerte, l’evoluzione successiva della disciplina. In giurisprudenza, si è posto, quindi, il problema di individuare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione delle parti per ripristinare l’equilibrio del rapporto.
Ai fini della valutazione di usurarietà, un primo orientamento, si è mostrato favorevole alla configurazione dell’usura sopravvenuta.
Secondo questo filone, la valutazione di legittimità degli interessi è da effettuare all’atto della corresponsione degli stessi, in quanto momento funzionale ed esecutivo del contratto (ex multis: Cass. Sez. III 22/08/2007, n. 17854; Cass. Sez. I 11/01/2013, n. 602 e 603; e ancor più recenti vedasi Cass. Sez. I 17/08/2016 n. 17150 e Sez. I 12/04/2017, n. 9405).
Il carattere illecito della pretesa del creditore di pretendere il pagamento di interessi a un tasso che pur non essendo superiore alla data di pattuizione superi tale soglia durante l’esecuzione o il pagamento degli interessi stessi, è stato argomentato da un lato valorizzando la nullità ex art. 1815 comma II c.c. ed il meccanismo della sostituzione automatica di clausole ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., dall’altro attraverso il richiamo del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione dei contratti (c.d. in executivis), di cui all’art. 1375 c.c. per cui sarebbe scorretto pretendere il pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore alla soglia dell’usura come determinata al momento del pagamento stesso poiché in quel modo il creditore finirebbe per sperare nell’inadempimento anziché nell’adempimento, poiché il primo potrebbe fruttare al creditore più del secondo.
In particolare, la buona fede determinerebbe l’inesigibilità della prestazione, ricostituendo un sostanziale equilibrio del rapporto negoziale vigente tra le parti. Il creditore, infatti, nell’esecuzione del contratto, sarebbe tenuto al rispetto del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., in conseguenza del quale pretenderà il solo pagamento degli interessi entro la soglia dell’usura; viceversa, il debitore potrà legittimamente opporsi attraverso l’istituto dell’exceptio doli generalis.
Un secondo orientamento della Corte di Cassazione ha invece ritenuto la necessità di avere riguardo al solo momento genetico della stipulazione del contratto, essendo irrilevante il tempo successivo dell’effettiva corresponsione degli interessi[2].
Secondo questo filone, l’interprete deve porre l’attenzione sul momento della stipulazione del patto e non sulle successive dazioni, non punibili perché mere esecuzioni di quanto in precedenza validamente concordato. La nuova legge, infatti, potrà incidere sugli effetti dei rapporti ancora in corso, ma non è idonea a condizionare il fatto generatore verificatosi in passato.
Questo orientamento giurisprudenziale culmina con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 24675/2017.
La recentissima pronuncia scrive di fatto un nuovo, rilevante, capitolo dell’annosa questione concernente la rilevanza dell’usura sopravvenuta, sancendone in maniera chiara ed inequivocabile che qualora il tasso di interessi concordato tra il mutuante e il mutuatario sia, al momento della pattuizione, inferiore al tasso soglia in quel momento applicabile, l’eventuale superamento dello stesso nel corso del rapporto contrattuale non determina né la nullità o l’inefficacia della clausola o la sostituzione automatica del tasso divenuto usurario con il tasso soglia applicabile in quel momento, né l’applicabilità delle sanzioni penali.
In particolare, gli Ermellini hanno fissato il seguente principio di diritto: “allorché il tasso di interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Pertanto, la sentenza si spinge, ad affermare che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, pur se successivamente divenuto superiore al tasso soglia, non costituisce, in sé, comportamento contrario al canone di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Ne consegue che il debitore non può opporre la buona fede, di cui all’art. 1375 c.c., al creditore che pretende la riscossione degli interessi validamente concordati all’atto della stipula del contratto di mutuo. Così sostenendo, le Sezioni Unite attribuiscono rilievo fondamentale al solo momento genetico della pattuizione delle clausole negoziali, tra le quali quelle aventi ad oggetto gli interessi, al fine di valorizzare il profilo della volontà e della responsabilità delle parti coinvolte.
Tuttavia, la decisione appena richiamata lascia aperti alcuni interrogativi, poichè la stessa Corte, dopo aver ammesso la non contrarietà a buona fede del comportamento della parte mutuante che chieda al mutuatario il pagamento degli interessi (divenuti) usurari, afferma che “(…) in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c (…) Far salva la validità ed efficacia della clausola contrattuale non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti”.
In dottrina si è acceso un forte dibattito sugli “altri strumenti previsti dalla legge” di tutela che il mutuatario potrebbe attivare, a fronte della richiesta di pagamento di tali interessi (divenuti) usurari. Gli autori che per primi hanno analizzato e commentato la sentenza in esame, hanno ipotizzato che, in presenza di una eccessiva sproporzione, gli altri strumenti praticabili parrebbero ricondurre a vicende estintive del contratto quali (i) la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. ovvero (ii) il recesso unilaterale del mutuatario ai sensi dell’art. 1464 c.c., che consente alla parte la cui prestazione sia divenuta parzialmente impossibile di recedere dal contratto, qualora non abbia interesse al parziale adempimento dello stesso.