L’usura sopravvenuta alla luce della recente pronuncia Cass. Civ. SSUU n. 24675/2017.

A cura di Dott. Alessandro Pasquinucci

Nell’anno 1993, la società alfa e l’istituto di credito beta sottoscrivevano un contratto di mutuo avente durata trentennale, con scadenza nel 2023.

Tuttavia, nel 2018, la società alfa riceva notifica di un atto giudiziario da parte dell’Istituto bancario per ottenere il pagamento di una ingente somma di denaro a titolo di interessi così come contrattualmente previsti.

La società quindi si rivolgeva al nostro studio legale per domandare un parere che chiarisse l’applicazione della nuova normativa antiusura ai contratti di finanziamento conclusi anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 108/1996 e non ancora esauriti.

INQUADRAMENTO Per meglio comprendere la vicenda in esame, sia consentita una breve disamina del concetto stesso di usura, a partire dalla definizione offerta dal codice penale, secondo il quale è la legge che stabilisce la soglia superata la quale gli interessi sono senz’altro usurari (art. 644 c.p). Inoltre, il legislatore penale, al comma IV del medesimo articolo, identifica come usurari anche quegli interessi sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, sebbene inferiori al limite legale: è necessario, infatti, avere riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni simili.

Il Legislatore, al IV comma, altro non fa che definire la della c.d. “usurarietà in concreto”, la quale opera prescindere dal tasso legale, qualora ricorrano due presupposti rinvenibili nella situazione di difficoltà economica o finanziaria del soggetto passivo e nella sproporzione degli interessi pattuiti rispetto alle concrete modalità del fatto.

Da ciò si desume che l’interesse è usurario non solo quando eccede il tasso soglia trimestralmente determinato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma anche qualora il corrispettivo in interessi sotto soglia, o altro vantaggio, risulta sproporzionato rispetto alla prestazione o quando chi li ha corrisposti o promessi versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

La prima ipotesi prevista dall’art. 644 c.p integra la fattispecie di usura c.d. oggettiva, mentre la seconda di usura c.d. soggettiva (o c.d. in concreto), per la sussistenza della quale è necessaria la valutazione delle condizioni di fatto e soggettive della vittima. 

Il codice civile, a sua volta, si occupa dell’usura, ma senza definirla, solo all’art. 1815 c.c comma II, in relazione al contratto di mutuo, evidenziando che nell’ipotesi in cui le parti convengano interessi che la legge qualifica come usurari, la relativa clausola è da ritenersi nulla e gli stessi interessi non dovuti.

Pertanto, l’ordinamento reagisce alla sproporzione originaria del rapporto mediante un’ipotesi di nullità parziale, in quanto relativa alla sola clausola di interessi. 

Si tratta di una previsione contrastante con la disciplina per il contratto in genere. La regola generale che governa la previsione ex art. 1419 c.c. prevede, infatti, il c.d. effetto espansivo: la nullità, che colpisce la clausola essenziale nell’economia complessiva del negozio stipulato tra le parti, è idonea a invalidare l’intero contratto.

Sotto questo profilo, la clausola che conviene gli interessi usurari nel contratto di mutuo è senz’altro essenziale: il creditore stipula il contratto di prestito con l’esclusivo scopo di vedersi corrisposti gli interessi, ovvero il suo effettivo guadagno derivante dall’operazione negoziale. Pertanto, detta pattuizione rappresenta una clausola senza la quale le parti non avrebbero concluso il contratto. 

Nonostante quanto sopra, si è rilevato che il legislatore, in virtù del principio del favor debitoris, cui è informato il nostro ordinamento giuridico, introduce una eccezione alla summenzionata regola, prevedendo al comma 2, dell’art. 1815 c.c., l’invalidità solo parziale della citata clausola. In particolare, la previsione codicistica fa salvo il contratto nella sua interezza, ma il creditore perde il diritto agli interessi, derogando, altresì, al principio della naturale prolificità del denaro. In una logica prettamente sanzionatoria, il legislatore reagisce al disequilibrio originario del contratto, da un lato, sanzionando il comportamento del creditore contrario a buona fede che, abusando della sua posizione di maggior forza, impone interessi usurari, e, dall’altro, esonerando il debitore dal pagamento di qualunque interesse.

Tale previsione è frutto dell’intervento di riforma della disciplina degli interessi realizzata dalla Legge n. 108/1996, che ha profondamente modificato sia l’assetto civilistico del contratto usurario, sia la struttura stessa del reato di usura di cui all’art. 644 c.p. In particolare, in riferimento al mutuo ex art. 1815, comma 2, c.c., il legislatore ha eliminato la previsione secondo la quale nell’ipotesi di interessi usurari, la clausola è da ritenersi nulla e il debitore è onerato alla sola corresponsione degli interessi entro il limite della soglia legale. Tale previsione è stata sostituita con la sola dicitura “non sono dovuti interessi“. Da ciò consegue l’applicabilità della nullità parziale, che censura esclusivamente la clausola squilibrante, e il contratto diventa per il mutuante gratuito, in virtù della possibilità di corrispondere al mutuatario alcun interesse. 

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